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Francesca Caputo*
*Dottoranda di ricerca presso il corso di Dottorato internazionale in “Studi Umanistici” (“Didattica e Pedagogia speciale”); già Dottore di Ricerca in “Modelli di formazione. Analisi teorica e comparazione” (Pedagogia Generale) – Università degli Studi della Calabria.
La formazione umana, a livello generale, nonostante il lungo e faticoso cammino compiuto dalla Paideia dell’Occidente in un continente gravido di splendida storia ma anche di conflitti, denuncia una crisi della persona, intesa come titolare dei diritti umani più elementari da realizzare storicamente nella progettualità esistenziale. La scuola e l’università, e non solo in Italia, riflettono oggi più di prima i sintomi di tale crisi esistenziale. Le ragioni sono sociali, economiche e strutturali. La situazione italiana presenta forse lacune più vaste da questo punto di vista, nonostante il fervore normativo. Gli aspetti problematici derivano da complessi e spesso concatenati fattori che investono la società nel suo complesso e di cui siamo testimoni e partecipi più o meno attivi, quali il divario della qualità di vita tra nord e aree del mezzogiorno, l’instabilità economica, l’incertezza del diritto e del lavoro, i potenti flussi migratori che stanno interessando il nostro continente, le ancor vive dinamiche conflittuali tra istanze identitarie nazionali, etniche o culturali. La criminalità organizzata, diffusa nel sud del Paese e che coinvolge tuttora ampie fasce di popolazione anche nel resto della penisola, resta spesso l’unica strada da imboccare per tanti adolescenti disillusi e arrabbiati rispetto a un destino incerto e senza sbocchi lavorativi. Fenomeni di marginalità sociale, devianza, bullismo (anche cyber), sia nei confronti dei docenti che tra studenti e il dilatarsi delle fasce di povertà richiedono la messa a punto di risposte educative sempre nuove e l’investimento di maggiori risorse finanziarie. Carenze economiche, tensioni occupazionali seguite alla crisi economica e finanziaria, il fenomeno dell’esodo sempre più frequente verso l’estero di giovani laureati (ma anche di ricercatori e accademici), oggettive difficoltà a livello di condizioni di vita, si accompagnano a un quadro normativo e strutturale non ancora pienamente rispondente all’esercizio del diritto umano all’educazione, in particolare per i minori, le donne, i disabili, cioè per quelle fasce di popolazione più escluse dai processi di decisione pubblica, soprattutto quando si tratta di minoranze etniche, religiose, culturali. Il nuovo modello normativo[1], la cosiddetta “Buona Scuola”, severamente condannato da buona parte dei vari attori sociali coinvolti e da una consistente fetta dell’opinione pubblica, oltre che da rappresentanti di parti del mondo intellettuale, politico e sindacale, ma anche universitario, ha fatto della questione educativa nel nostro Paese terreno di scontro e di dispute ideologiche e politiche destinate a protrarsi. In uno scenario così complesso a livello normativo e strutturale, scuola e università ne escono profondamente indebolite, finendo per riflettere, anziché risolvere, quello che è un disorientamento profondo della nostra società nella sua interezza. La principale accusa mossa dall’opinione pubblica alla scuola e all’università italiane è la loro progressiva trasformazione in una direzione aziendalistica, inammissibile in un Paese come il nostro che ha il suo orizzonte educativo fondante nell’ideale paideutico greco e umanistico. La Paideia è l’emblema della stessa civiltà occidentale, patrimonio di lunga e altissima tradizione da salvaguardare, tutelare e conservare. Il malessere profondo nelle scuole italiane oggi è visibile nella squalificazione del lavoro del docente (nonché di tutto il personale scolastico), non solo rispetto alla retribuzione percepita (inferiore in rapporto agli altri paesi europei), ma anche rispetto alla progressiva perdita di autorevolezza e prestigio, come dimostrano con drammatica frequenza, negli ultimi tempi, i dilaganti episodi di violenza e di intimidazione nei loro confronti da parte di allievi o di genitori. I docenti, così come le dirigenze scolastiche, sono diventati strumenti al servizio di un apparato aziendalistico verticistico, sottoposti a incombenze di carattere burocratico, sempre più demotivati e schiacciati dalla trappola della competitività in cui sono inevitabilmente cascati loro malgrado. La competitività nella “scuola-mercato” è divenuta dimensione centrale, non in termini positivi di crescita del libero pensiero, ma in termini di sviluppo, efficienza e controllo corrispondenti a criteri economici. Il destino lavorativo già di per sé incerto e precario dei giovani è corroborato da itinerari scolastici ritenuti faticosi e ingabbiati, a volte per la stessa volontà degli insegnanti, in processi di insegnamento-apprendimento volti alla comprensione e memorizzazione di contenuti e procedure, implementati come è il caso in particolare nel curricolo del secondo biennio e dell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado col sistema di almeno 200 ore (400 per gli istituti tecnici e professionali) di alternanza scuola-lavoro, divenuto obbligatorio con l’entrata in vigore della legge n. 107 del 2015 a partire dall’anno scolastico 2015-2016. Lo svolgimento di tale attività costituirà, dall’anno scolastico 2018/2019, come è stato annunciato dalla nota Miur prot.7194 del 24 aprile 2018, “requisito di ammissione agli esami di Stato conclusivi dei percorsi di studi di istruzione secondaria di secondo grado”[2]. L’introduzione strutturale dell’Educazione all’imprenditorialità nelle scuole secondarie di secondo grado è stata di recente promossa per la prima volta dal Miur con alcuni documenti significativi[3] inviati alle istituzioni scolastiche, che suggeriscono modalità e contenuti che le scuole devono studiare e discutere per costruire percorsi di acquisizione di abilità e competenze tipiche nell’ambito della suddetta educazione. Una questione spinosa, questa, intorno a cui pareri sono discordi. C’è, per esempio, chi ravvisa i pericoli nell’incardinamento del sistema d’istruzione in una struttura formativa salariale di stampo capitalistico e in processi di costruzione dell’homo oeconomicus. Tale questione si interconnette con altre, altrettanto delicate, come quelle concernenti la meritocrazia, che come dice Papa Bergoglio “al di là della buona fede dei tanti che la invocano, sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza”[4]. Si pensi, per esempio, a una tra le misure più discusse della Legge 107/2015, quella relativa al bonus merito docenti distribuito secondo criteri selezionati da un Comitato di Valutazione costituito da tre docenti, due genitori (per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione), un rappresentante degli studenti e un rappresentante dei genitori (per il secondo ciclo di istruzione) e da un componente esterno selezionato dall’Ufficio scolastico regionale territorialmente competente. E ancora, si pensi al sistema Invalsi (per la scuola) e Anvur (per l’università), enti preposti alla valutazione in Italia, le cui prove o modelli di valutazione per misurare la preparazione degli studenti e verificare la qualità della ricerca universitaria suscitano diverse perplessità e critiche, a volte accese, provenienti da diversi fronti. Altre decisive questioni riguardano la qualità del sistema scolastico che presenta divari e disomogeneità tra regioni del mezzogiorno e del nord. I dati riferiti ai risultati più recenti[5] nell’ambito dell’indagine internazionale Ocse-Pisa, riguardanti la verifica delle conoscenze e delle competenze degli studenti (di età compresa tra 15 anni e 3 mesi e 16 anni e 2 mesi, che hanno completato almeno 6 anni di istruzione formale) nelle macro-aree Lettura, Matematica e Scienze confermano un netto vantaggio del nord rispetto alle aree del mezzogiorno e dei maschi rispetto alle ragazze. Gli studenti italiani hanno raggiunto la media Ocse in matematica, ma risultano ancora indietro in scienze e nella lettura. Complessivamente l’Italia, con un punteggio medio di 481, si attesta, a livello di esplorazione statistica significativa, al di sotto della media Ocse. Il paradigma didattico verso cui la scuola italiana sta impegnando i suoi sforzi è incentrato sulla promozione delle competenze nel senso della traducibilità delle conoscenze sul piano strettamente operativo. Questa contestualizzazione del sapere presuppone una partecipazione attiva del soggetto che apprende e la valorizzazione di uno stile di apprendimento attivo ed esplorativo in cui lo studente sia orientato ma non diretto.
Nonostante gli sforzi più recenti per una “riforma della scuola”, non ci sono dubbi che il problema delle pari opportunità e il diritto generalizzato allo studio e alla formazione siano, in Italia, al momento, tutt’altro che risolti. Tante sono ancora le fasce di popolazione che, vuoi per motivi economici strutturali o vuoi per condizioni sociali e familiari disagiate, rimangono fuori dal diritto alla formazione. Né serve il nuovo orientamento “scuola-lavoro”, proposto nella recente riforma scolastica, a creare i presupposti per una piena realizzazione del diritto di ognuno alla formazione.
[1] Legge 13 luglio 2015, n. 107, Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti (GU Serie Generale n.162 del 15-07-2015).
[2] Nota Miur, prot.7194 del 24 aprile 2018, “Risposte a quesiti in materia di attività di alternanza scuola lavoro” (http://www.miur.gov.it/web/guest/-/nota-prot-7194-aoodgosv-del-24-04-20-1).
[3] MIUR – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Prot. n. 0004244 – 13/03/2018; L’EntreComp, Entrepreneurship Competence Framework, il Quadro di Riferimento per la Competenza Imprenditorialità, pubblicato nel giugno del 2016 (sintesi e introduzione) e il Sillabo per la scuola secondaria di secondo grado sull’ “Educazione all’imprenditorialità” (http://www.miur.gov.it/-/promozione-di-un-percorso-di-educazione-all-imprenditorialita-nelle-scuole-di-ii-grado-statali-e-paritariein-italia-e-all-estero).
[4] Visita pastorale del Santo Padre Francesco a Genova, “Incontro con il mondo del lavoro”, Discorso del Santo Padre, Stabilimento Ilva, sabato, 27 maggio 2017, Libreria Editrice Vaticana (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/travels/2017/inside/documents/papa-francesco-genova_2017.html)
[5] Indagine OCSE-PISA 2015, “I risultati degli studenti italiani in scienze, matematica e lettura” (http://www.invalsi.it/invalsi/ri/pisa2015/doc/rapporto_PISA_2015.pdf)